Sport e alimentazione dieta in zona

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Dieta a Zona

Tra le molte “innovazioni” nutrizionali che, nel corso degli ultimi anni, Dieta|Zona|Barry Sears|Lanza Personal Trainer|Personal Trainer Tarantosono state proposte per migliorare la prestazione sportiva, senza però riuscire a dimostrarsi realmente efficaci, la Dieta a Zona merita certamente un posto di particolare rilievo, non fosse altro che per la forte pressione mediatica e la spinta promozionale che l’hanno accompagnata, anche a sostegno dell’ampia linea di “prodotti dietetici” specifici necessari per una sua applicazione integrale.

La Dieta a Zona, secondo la definizione originale proposta dal suo ideatore, il biochimico americano Barry Sears, è stata la principale proposta di fine millennio, in alternativa al modello di alimentazione di “tipo mediterraneo” e alla cosiddetta dieta preventiva.

Peraltro, la stessa Dieta a Zona è già stata superata, in ordine cronologico, da una ulteriore new entry nella classifica delle “novità” dietologiche che promettono facili dimagrimenti e successi sicuri, la dieta South Beach, anche questa proveniente, non a caso, dal Nord America, la regione del mondo con il più alto grado di obesità.

La Dieta a Zona si è rivelata, negli Stati Uniti d’America come in Italia, un vero e proprio fenomeno di massa oltre che un formidabile best-seller editoriale, per il gran numero di libri pubblicati e venduti, provenienti d’oltreoceano e, più recentemente, anche “made in Italy”.

I proseliti della Dieta a Zona, oltre a proporre questa dieta per dimagrire, ridurre il rischio cardiovascolare e per molte altre malattie, sostengono che adottandola scrupolosamente è possibile ottenere in miglioramento anche delle prestazioni sportive, un aumento della massa magra e una riduzione della massa grassa.

Il metodo alimentare Zona, (in inglese Zone Diet) è una dieta ideata negli Stati Uniti dal biochimico Barry Sears. Consiste in un metodo per mantenere la produzione di insulina in una “zona” né troppo alta né troppo bassa ed è basata sui concetti di “equilibrio” e “moderazione” degli alimenti, assunti secondo una distribuzione di macronutrienti basati sulla formula 40-30-30 (40% carboidrati, 30% proteine, 30% grassi) nonché su una adeguata attività fisica e sul controllo quotidiano dello stress. Si precisa che tali percentuali si riferiscono alle calorie apportate dai 3 nutrienti fondamentali della dieta, non dal loro peso.
Per esattezza si dovrebbe dire: il 40% della calorie portato dai glucidi, il 30% dalle proteine, il 30% dai lipidi.

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Obiettivo principale della dieta a Zona è dichiarato essere la salute psicofisica, il controllo attraverso il cibo degli ormoni e dei valori di colesterolo e indice glicemico.

“Zona” è una parola utilizzata in farmaceutica per indicare la quantità di un farmaco necessaria affinché quest’ultimo sia efficace. Una quantità inferiore sarebbe inutile, una superiore dannosa. Il metodo alimentare proposto da Sears ritiene che il cibo sia il farmaco più potente, e come tale lo tratta, secondo l’aforisma di Ippocrate “fa’ che il cibo sia la tua miglior medicina, fa’ che la tua migliore medicina sia il tuo cibo”.
Secondo Sears dunque anche il cibo va ingerito in quantità e con tempi che consentano di ottimizzare la sua efficacia.

Il metodo alimentare “Zona” si basa su quattro elementi fondamentali:

  1. alimentazione;
  2. moderato esercizio fisico;
  3. gestione dello stress;
  4. integrazione di Omega 3.Il metodo si basa sulla teoria secondo la quale sarebbe possibile ottenere un’ottimizzazione del metabolismo umano conseguendo un determinato equilibrio di una particolare classe di ormoni, gli eicosanoidi. Tale equilibrio si otterrebbe tramite il raggiungimento e il mantenimento di una proporzione tra insulina e glucagone. Sfruttando il fatto che con l’assunzione di cibi proteici si stimoli, oltre alla produzione di insulina, anche quella di glucagone, mentre con l’assunzione di carboidrati si stimoli più intensamente la risposta insulinica (i grassi hanno un effetto meno stimolante su quest’ultimo ormone) secondo Sears è possibile, definendo un rapporto costante tra proteine e carboidrati assunti, ottenere la proporzione ideale tra insulina e glucagone, per ottenere la giusta ripartizione di eicosanoidi.

Secondo Sears sarebbe quindi fondamentale mantenere ad ogni pasto un rapporto tra proteine e carboidrati compreso in un range di 0,6 e 1, con un rapporto ideale di 0,75. In fase di dimagrimento i grassi devono essere mantenuti in determinate proporzioni con gli altri due macronutrienti, determinando una composizione dei pasti e degli spuntini su un modello 30-40-30: ovvero il 30% delle calorie deve derivare dalle proteine, il 40% dai carboidrati, il 30% dai grassi e ogni pasto e spuntino deve rispettare queste percentuali.

Quando la fase di dimagrimento è finita, con il raggiungimento della percentuale ideale di massa grassa, si passa ad un regime di grassi liberi che consentono un ancoraggio calorico e impediscono un ulteriore dimagrimento.

Secondo i suoi sostenitori il metodo alimentare Zona permetterebbe di raggiungere:

  • maggiore lucidità e concentrazione;
  • miglioramento dell’umore;
  • maggiore tonicità muscolare;
  • contrastare i processi di invecchiamento;
  • controllare in maniera ottimale il peso corporeo;
  • riduzione dei rischi cardiovascolari, dei tumori e di altre malattie;
  • miglioramento della qualità del sonno;
  • diminuzione complessiva della sonnolenza e delle ore totali di sonno;
  • maggiore fluidità del sangue;
  • maggiore efficienza cerebrale;
  • maggiore resistenza alle infezioni.

Secondo Sears il metodo alimentare Zona sarebbe inseribile tra le “diete evoluzionistiche”, che partono dall’assunto che l’alimentazione naturale per l’uomo sia la cosiddetta paleodieta del Paleolitico e che i mutamenti genetici intercorsi dopo l’introduzione dell’agricoltura nel corso della rivoluzione neolitica siano irrilevanti. L’uomo non sarebbe, per lo più, in grado di alimentarsi di cereali e amidacei, ma dovrebbe propendere per un’alimentazione composta essenzialmente da carne, pesce, frutta e verdura.

Con la Dieta a Zona si vuole ottenere un miglioramento delle prestazioni di durata, un aumento della massa magra ed una riduzione della massa grassa. Secondo Barry Sears e i suoi “adepti” la “zona” è una condizione fisiologica di pieno benessere psico-fisico che è possibile raggiungere solo se si seguono scrupolosamente le regole della loro proposta nutrizionale, quando cioè tutti e cinque i pasti della giornata (tre principali e due spuntini), e di conseguenza l’intera razione alimentare giornaliera (ETG), hanno una ben stabilita e rigida composizione in macronutrienti, di modo che i carboidrati rappresentino il 40% dell’energia totale giornaliera con preferenza per quelli con più basso indice glicemico, le proteine il 30% e i lipidi il 30%, in gran parte acidi grassi monoinsaturi.

La razione alimentare della Dieta a Zona viene impostata sulla base del fabbisogno proteico di ciascun individuo, come per altro deve essere fatto correttamente per ogni regime nutrizionale, calcolato però in rapporto alla massa magra, e non come avviene più comunemente sul peso corporeo desiderabile di ciascun individuo.

Fabbisogno proteico (g/kg di massa magra) in relazione al livello di attività fisica praticata

Fabbisogno proteico

Attività

1,10

1,32
1,54
1,76

1,98
2,20

Sedentaria

Leggera: camminare o soggetti obesi (massa grassa: >30% maschi; > 40% femmine

Moderata: 30 min/die, 3 volte a settimana o pratica sistematica di uno sport

Intensa: 1 h /die, 5 volte a settimana, allenamento aerobico o con pesi (bilancieri o macchine) tutti i giorni

Molto intensa: 2 h/die, 5 volte a settimana o pesante allenamento quotidiano con i pesi

Pesante: allenamento con i pesi o doppio allenamento (5 giorni a settimana). Intenso allenamento sportivo

Questo approccio è senza dubbio, almeno teoricamente, corretto anche se appena un po’ più complicato. Infatti, per quanto la valutazione della composizione corporea dovrebbe rappresentare sempre una fase del protocollo di indagine cui sottoporre un soggetto, tanto più quando si tratti di un atleta, prima di elaborare una proposta nutrizionale, non dobbiamo, tuttavia, farci troppe illusioni in merito. È ben noto, infatti, che le metodiche di valutazione della composizione corporea di più comune impiego nella pratica clinica, dietologica e medico sportiva (misure antropometriche, psicometria, misura dello spessore del grasso sottocutaneo, analisi della bioimpedenza elettrica), per quanto di facile esecuzione, ripetibili e non invasive, presentano molti limiti, soprattutto quando riferite ad un singolo individuo e non ad un gruppo sufficientemente ampio di soggetti.

Successivamente alla definizione del fabbisogno proteico, la proposta nutrizionale della Dieta a Zona viene completata negli apporti degli altri nutrienti energetici, carboidrati e lipidi, nel rispetto delle percentuali prima indicate.

Allo scopo di assumere i giusti quantitativi di macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi), Barry Sears indica due sistemi: il sistema del palmo della mano e il sistema dei blocchetti.

Il sistema del palmo della mano è, fra i due sistemi, quello meno preciso; è stato concepito per favorire coloro che sono più restii ai calcoli e per coloro che si trovano spesso a mangiare fuori dalla propria abitazione. Secondo tale sistema, in tutti i pasti vanno consumate tante proteine (intendendo essenzialmente con questo termine pesce e carne) prendendo come riferimento di misurazione il palmo della mano (dita escluse) sia come estensione sia come spessore. I pasti poi andranno terminati con una quantità di frutta pari al doppio del volume del proprio pugno. Chi non se la sente di rinunciare alla pasta o al pane deve ridurre il quantitativo di verdura e provvedere a sostituire la frutta con una quantità di pasta (o pane) pari al volume del proprio pugno.
Il sistema dei blocchetti ha questo nome perché i tre macronutrienti vengono appunto divisi in blocchetti (o blocchi):

  •  un blocchetto di carboidrati vale 9 g di carboidrati
  •  un blocchetto di proteine vale 7 g di proteine
  •  un blocchetto di grassi vale 3 g di grassi.Questi blocchi sono, di fatto, la rappresentazione delle percentuali di riferimento dei macronutrienti indicate dalla dieta a zona (40-30-30); essi devono essere assunti sempre nel rapporto 1:1:1.

A tal proposito, però, è bene soffermarci un attimo e provare a fare qualche semplice calcolo, per evidenziare alcune palesi incongruenze della Dieta a Zona .

Infatti, se ipotizziamo, per semplificare le operazioni di calcolo, di dover approntare una proposta nutrizionale per un atleta con un peso corporeo di 100 chili, che abbia una massa grassa pari al 10% (10 kg) e conseguentemente disponga di 90 kg di massa magra, e che si tratti di un atleta impegnato quotidianamente in allenamenti molto faticosi e di grande impegno fisico (4-6 ore al giorno), tanto da necessitare di un apporto proteico massimo (2,2 g per chilogrammo di massa magra, secondo la Dieta a Zona ), dovremmo calcolare un fabbisogno proteico giornaliero corrispondente a 198 grammi di proteine, pari a 792 kcal. Pertanto, dovendo rispettare il principio che la quota proteica giornaliera corrisponda al 30% dell’ETG, ne risulta che quest’ultima deve necessariamente essere pari a 2640 kcal. Conseguentemente, il 30% dell’ETG garantirebbe 88 g di lipidi, mentre la quota glucidica (40% = 1056 kcal) sarebbe coperta da una quantità totale di carboidrati pari a circa 282 g.

Appare del tutto evidente, anche a chi non è un esperto di alimentazione applicata all’esercizio fisico e allo sport, che una razione energetica di sole 2640 kcal/die con un apporto così modesto di carboidrati sarebbe del tutto insufficiente per un atleta con caratteristiche antropometriche e programmi di allenamento come quelli ipotizzati. Allo stesso modo non ci sono dubbi che, con un apporto energetico di questa entità, abbinato ad allenamenti intensi per molte ore al giorno, tutti i giorni, chiunque perderebbe peso e massa grassa, sempre ammesso che riesca a condurre una vita di relazione normale e a portare a termine le sedute di allenamento senza accusare disturbi e cali dell’efficienza fisica.

Diversamente, se per lo stesso soggetto ipotizziamo più realisticamente, pur mantenendoci piuttosto bassi, un fabbisogno energetico giornaliero di ben 5000 kcal, come avviene molto spesso nella realtà di un gran numero di atleti con caratteristiche simili al nostro “prototipo”, allora, applicando le proporzioni della Dieta a Zona dovremmo approntare una proposta nutrizionale con apporti giornalieri di circa 167 g di lipidi e di circa 533 g di carboidrati, mentre l’apporto proteico sarebbe di ben 375 g/die, corrispondenti a 4,16 g di proteine per kg di massa magra (90 kg), nettamente superiore al valore indicato da Berry Sears di 2,2 g per chilogrammo di massa magra. I numeri si commentano da soli e dimostrano inequivocabilmente come la Dieta a Zona sia una dieta palesemente iperproteica, sebbene i suoi fautori rifiutino questa definizione, e a basso apporto di carboidrati, sebbene vengano privilegiati quelli a basso indice glicemico, e globalmente costituiscono la fonte energetica percentualmente, ma solo di poco, più rilevante.

Tutta la letteratura internazionale degli ultimi centocinquant’anni sostiene, al contrario, che la dieta degli atleti, soprattutto per gli sport aerobici, deve essere iperglicidica (55-65% ETG), lievemente iperproteica (1,5 – massimo 2,0 g per kg di peso corporeo desiderabile) e normolipidica (25-30 % dell’ETG). Pertanto, adottando questo genere di proposta, molto simile a quella del “modello mediterraneo”, più saggia, salutare ed adatta alla pratica sportiva, al nostro atleta, nella seconda ipotesi (5000 kcal) dovremmo fornire al massimo 180 g/die di proteine (2,0 g/kg p.c.) pari a 720 kcal e quindi corrispondenti a poco più del 14% dell’ETG, un apporto lipidico di circa 164 g (circa il 30% dell’ETG) e una ben più cospicua razione di carboidrati (quasi il 56% dell’ETG, pari a circa 747 g/die) con una netta preferenza per quelli complessi (80 % della quota glucidica totale, con indice glicemico medio-basso). Diversamente, se dovessimo attenerci alla quota energetica della prima ipotesi (2640 kcal), le quote dei nutrienti energetici dovrebbero risultare rispettivamente distribuite: proteine (180 g/die), di poco superiore al 27%, lipidi (52 g) poco meno del 18% e carboidrati (387 g) il 55%.

Secondo i sostenitori della teoria biochimica-nutrizionale proposta da Berry Sears, la “particolare ed innovativa” distribuzione percentuale dei tre macronutrienti energetici (40-30-30) sarebbe l’ideale per garantire un rapporto ottimale tra proteine e carboidrati, pari a 0,75 (3 calorie dalle proteine ogni 4 calorie dai glucidi) o al massimo pari a 0,6 (3 calorie dalle proteine ogni 5 calorie dai glucidi). In tal modo però, rispetto alle diete più sane ed adatte alla pratica sportiva, si promuoverebbe un aumento dei livelli plasmatici di glucagone e una proporzionale riduzione di quelli dell’insulina con un conseguente incremento della lipolisi.

In realtà, secondo la maggior parte degli Autori scientificamente accreditati, questo presupposto della teoria della Dieta a Zona non sarebbe del tutto corretto, poiché l’acido lattico che si produce durante l’attività sportiva, soprattutto nel lavoro di tipo anaerobico lattacido, breve ed intenso, sarebbe in grado di inibire la lipolisi opponendosi all’effetto indotto dal glucagone; inoltre, nel recupero dopo l’esercizio la presenza di insulina rappresenta un fattore utile in quanto facilita la resintesi del glicogeno muscolare e la sintesi proteica, favorendo in tal modo la ricostruzione delle scorte glucidiche muscolari ed epatiche, contribuendo, altresì, a ridurre il tempo di recupero e a limitare i processi catabolici post-esercizio, a favore di quelli anabolici.

Inoltre, Jensen e i suoi collaboratori hanno dimostrato già da tempo, con il loro lavoro, che è possibile indurre una risposta insulinica in grado di contrastare l’azione lipolitica del glucagone anche quando i glucidi rappresentano soltanto il 40%dell’ETG.

L’altro presunto cardine scientifico teorico, fondamentale della Dieta a Zona, sarebbe l’effetto della proporzione 40-30-30 (4 g di carboidrati, 1,2 g di lipidi e 3 g di proteine) tra i vari nutrienti energetici, sulla produzione di eicosanoidi. In particolare, la “zona”, per le stimolazioni indotte dagli ormoni e dai nutrienti, permetterebbero una maggior produzione di prostaglandine ad effetto vasodilatatore ed antiaggregante, migliorando le condizioni del microcircolo a livello muscolare. Il bersaglio della “zona” son le attività enzimatiche di due desaturasi Δ6 e Δ5 che portano alla formazione di acido gamma-linoleico (GLA) la prima, e alla formazione di acido arachidonico (AA) la seconda.

Dal GLA derivano gli eicosanoidi con un solo doppio legame, come la PGE1, mentre dall’AA derivano i composti con due doppi legami (dienoici) come la PGE2 e PGI2. I composti della serie 1 hanno maggior attività vasodilatatoria e azione antiaggregante, mentre i composti della serie 2 hanno una minor azione valodilatatrice e sono trombogeni. La stimolazione dell’attività della Δ6 desaturasi e l’inibizione dell’attività della Δ5 desaturasi indotte dalla particolare “struttura nutrizionale” della Dieta a Zona porterebbero ad una aumentata sintesi di eicosanoidi della seria 1 e ad una ridotta sintesi di quelli della serie 2. Secondo l’ipotesi biochimica proposta da Barry Sears a sostegno della Dieta a Zona, la somministrazione di grassi della serie ω3 (EPA) agirebbe modulando la produzione di eicosanoidi “neutrali”, riducendo in tal modo la sintesi dei fattori della serie 2.

Questo effetto della serie degli acidi grassi ω3 sarebbe indotto da fenomeni di competizione per la desaturasi e di inibizione della ciclossigenasi, che promuove la sintesi della serie dei fattori 3 (con tre doppi legami, trienoici); mentre gli ω6 sarebbero i precursori di molecole di eicosanoidi “buoni” e “cattivi”, in relazione alle loro specifiche attività metaboliche.

Questa suddivisione così schematica degli eicosanoidi appare, però, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, un po’ troppo semplicistica e non del tutto corretta in quanto non considera in maniera completa, nel suo insieme, la complessità dell’interazione e dei meccanismi di regolazione tra le varie molecole che derivano dal loro metabolismo.

Tuttavia, alcuni degli effetti ipotizzati dai fautori della Dieta a Zona sono stati realmente dimostrati in studi sperimentali, e probabilmente si verificano anche nell’uomo, ma il problema ancora aperto è quale sia la reale influenza dei fattori dietetici ed ormonali sulla produzione di eicosanoidi e soprattutto quale impatto possono avere sull’attività fisica. La Dieta a Zona, secondo l’opinione di alcuni ricercatori contrari alla teoria di Barry Sears, considera solo alcuni di questi aspetti, mentre altri studi hanno provato che le proteine e l’insulina possono stimolare l’attività di entrambe le desaturasi che intervengono nella sintesi di nuove, molecole di eicosanoidi.

Inoltre, Barry Sears non tiene conto della reale difficoltà di dosare con esattezza la concentrazione plasmatica degli stessi eicosanoidi, e pertanto non è in grado di dimostrare scientificamente la reale efficacia della Dieta a Zona nell’aumentarne la produzione.

Per dovere di cronaca ricordiamo che tra gli alimenti che contengono una elevata quantità di acidi grassi essenziali della serie ω6 figurano gli oli di semi, mentre quelli della serie ω3 sono contenuti nel grasso presente nelle carni ittiche, soprattutto del pesce azzurro (alici, sgombro, tonno, ecc.), e in quelle animali cosiddette bianche (pollo, tacchino, coniglio), queste ultime particolarmente adatta per l’alimentazione dell’atleta in virtù del loro ridotto contenuto totale di grassi, nonché della loro maggiore digeribilità.

Effetti sui nutrienti ed ormoni sulle desaturasi Δ6 e Δ5

Fattore

Δ6

Δ5

Glucagone Insulina Proteine Carboidrati

↓ ↑ ↑* ↓*

↓* ↑* ↑ ↓

Per dovere di cronaca ricordiamo che tra gli alimenti che contengono una elevata quantità di acidi grassi essenziali della serie ω6 figurano gli oli di semi, mentre quelli della serie ω3 sono contenuti nel grasso presente nelle carni ittiche, soprattutto del pesce azzurro (alici, sgombro, tonno, ecc.), e in quelle animali cosiddette bianche (pollo, tacchino, coniglio), queste ultime particolarmente adatta per l’alimentazione dell’atleta in virtù del loro ridotto contenuto totale di grassi, nonché della loro maggiore digeribilità.

Inoltre è bene ricordare che secondo i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia) per la popolazione italiana l’apporto raccomandato di acido linoleico dovrebbe essere pari all’1-2% delle calorie, mentre per gli acidi grassi della serie ω3 viene raccomandato un apporto pari allo 0,2-0,5%; tuttavia, per i potenziali rischi di tossicità (metabolica e funzionale) derivante da una eccessiva assunzione di acidi grassi polinsaturi i LARN consigliano di non superare i seguenti livelli massimi di assunzione:

 Acidi grassi polinsaturi ω3 = 5% dell’energia della dieta;
 Acidi grassi polinsaturi totali (ω3 e ω6 = 15% dell’energia della dieta.
Appare quindi ingiustificato, alla luce delle attuali conoscenze, l’uso indiscriminato di integratori contenenti acidi grassi ω3, come invece proposto dalla Dieta a Zona Dieta a Zona, ancor più se associato a quello di prodotti dietetici proteici, soprattutto tra gli sportivi già così censibili, a torto, al fascino delle proteine e degli integratori in genere.

Il programma alimentare della Dieta a Zona prevede un apporto energetico di 400 kcal per pasto, ed in particolare la prima colazione dovrebbe fornire il 20-30% dell’energia totale giornaliera; inoltre le proteine devono provenire da alimenti contenenti bassi quantitativi di acidi grassi saturi, la quota lipidica deve essere rappresentata principalmente da alimenti di origine vegetale e i carboidrati devono avere indice glicemico basso.

La Dieta a Zona in definitiva è, come abbiamo visto, una dieta iperproteica che, pur fondata su alcuni presupposti corretti, rientra, come tale, nel gran numero di proposte nutrizionali iperproteiche, di volta in volta pubblicizzate nel corso degli ultimi anni non solo nel mondo dello sport, ma, più in generale, per il grande pubblico, soprattutto per la terapia dell’obesità e del sovrappeso corporeo.

Infatti, la stragrande maggioranza delle “diete dimagranti”, a causa della restrizione più o meno marcata dell’apporto di energia, indispensabile per avere un bilancio energetico negativo e quindi la riduzione del grasso corporeo di deposito, è necessariamente iperproteica, stante la contemporanea necessità di Dieta a Zona aumentare lievemente la quota proteica per prevenire la perdita di massa magra (bilancio di azoto negativo) che si accompagna inevitabilmente alla restrizione energetica.
Le diete iperproteiche proposte di volta in volta sono piuttosto numerose e non sempre esenti da potenziali rischi per la salute di chi le adotta, tanto più se per lunghi periodi di tempo.

Nel complesso, insomma, la Dieta a Zona raccomanda livelli di proteine che superano nettamente anche i fabbisogni massimi riportati in letteratura, e propone una restrizione calorica e di carboidrati sufficienti a cancellare senz’altro qualunque ipotetico vantaggio collegato all’aggiunta di proteine. Inoltre, e non a caso, la Dieta a Zona è stata inserita, nel quadro di uno statere ufficiale della American Heart Association (AHA), fra le cinque tipiche diete iperproteiche la cui adozione per periodi prolungati fa sì che vi sia una minore assunzione di alimenti “salutari” che assicurano vari nutrienti essenziali e ostacola il rispetto di quella varietà nelle scelte alimentari che è necessario per coprire correttamente i fabbisogni nutritivi.

Secondo la AHA queste diete (fra le quali anche la Dieta a Zona) comportano una serie di importanti rischi per la salute, con quelli cardiovascolari in primo piano, per la possibile alterazione di fattori quali una iperLDL-colesterolemia (per gli eccessi in acidi grassi saturi e colesterolo), un aumento della pressione arteriosa (per il ridotto intake di potassio, calcio e magnesio e l’aumentato apporto di sodio), una iperuricemia più o meno marcata, un incremento della perdita di calcio per via renale, un diminuito intake di sostanze antiossidanti , di fibra, di alcune vitamine e di alcuni minerali, ecc.

Viene anche prospettato il rischio di una precoce insorgenza della fatica, collegata alla deplezione del glicogeno muscolare sotto sforzo.

Un’altra osservazione non marginale è quella che la Dieta a Zona medicalizza eccessivamente gli alimenti ed opera una distinzione eccessiva tra quelli consigliati e quelli sconsigliati, suggerendo una possibile integrazione proteica con polveri e vari tipi di estratti.

Va poi sottolineato che, per quanto riguarda i vantaggi indicati da Sears circa ipotizzate influenze ormonali sulla biologia degli eicosanoidi, le sue teorie sono esposte omettendo opportunamente una serie di informazioni che sono in contraddizione con le sue ipotesi. Ad esempio, il principio della vasodilatazione delle arteriole muscolari ottenuta attraverso variazioni nella produzione degli eicosanoidi è corretto solo in linea teorica, visto che nell’uomo non è mai stato dimostrato alcun significativo contributo degli eicosanoidi (e in particolare delle prostaglandine PGE 2 e PGI2) alla vasodilatazione del muscolo sotto sforzo.

Ed anche il richiamo all’uso di dosi massicce di acidi grassi ω3, pur suggestivo, viene proposto da Sears senza tener conto della necessità che nella nostra alimentazione venga mantenuto, tra acido linoleico e acidi grassi polinsaturi della serie ω3, un giusto equilibrio reciproco: le raccomandazioni in proposito sono per un livello pari all’1-2% delle calorie sotto forma di acido linoleico e lo 0,2-0,5% sotto forma di polinsaturi ω3.

Come se non bastasse, va anche rimarcato il fatto che la maggior parte delle dimostrazioni sperimentali riportate da Sears nei suoi libri riguarda casistiche concernenti casi singoli ed esperienze personali più o meno isolate, mentre mancano studi condotti in maniera tale da poter essere convalidati da quella valutazione statistica di cui una teoria scientifica ha assoluto bisogno per essere presa seriamente in considerazione.

In sintesi si può concludere che, nel campo dell’attività sportiva, le connessioni ipotizzate dalla Dieta a Zona fra alimentazione, endocrinologia, metabolismo lipidico e fisiologia dell’esercizio fisico sono estremamente semplificate e talvolta paradossali. Il che non toglie che, benché i più accurati studi disponibili smentiscano che l’adozione di una dieta di questo tipo possa portare dimostrabili benefici della performance, la popolarità della Dieta a Zona continui per ora a crescere, all’ombra di considerazioni la cui validità scientifica è soltanto apparente.

Dal quadro emerge che anche la Dieta a Zona, contrariamente a quanto sostenuto e ampiamente pubblicizzato dai suoi sostenitori e dalle aziende coinvolte nel suo sfruttamento commerciale, al pari di altre diete iperproteiche, non è esente da pecche e potenziali riflessi negativi sulla salute, oltre che essere inadatta alle effettive esigenze nutrizionali di tutti coloro che praticano un’attività sportiva.

Vale quindi la pena ribadire, ancora una volta, che non esistono alimenti o diete miracolose: per dimagrire occorre creare le condizioni per il realizzarsi di un bilancio energetico negativo (aumentare l’attività fisica e contenere gli apporti alimentari) e per ottimizzare la prestazione sportiva occorre allenarsi bene e seguire un’alimentazione semplice, variata, ricca di carboidrati complessi e con un corretto apporto di nutrienti.

 

 

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